INTAKT RECORDS – CD-REVIEWS
CO STREIFF

 

CO STREIFF SEXTET. QATTARA. INTAKT CD 078

From dance and sunshine to storm and danger
Twenty years after Dane Pierre Dorge founded his New Jungle Orchestra, it's barely a surprise that Europeans can blend African music and jazz with charming fluency on both counts. More remarkable about Swiss miss Co Streiff's debut as leader are its breadth and depth. From dance and sunshine to storm and danger to desolation and abstraction, the hybrid is dramatized in full glory by a well-acquainted sextet. From the Arabian tinges to Afrobeat to a South African celebration starring Streiff's soaring sax, the African essence beats true. And while Dorge turned to Ellington and Mingus for his jazz references, the Art Ensemble of Chicago provides DNA strands here.

Streiff has recorded with Vienna Art Orchestra and Irène Schweizer, two European jazz institutions, and toured with the nomadic Circus Theater Feverlos. Still, such a well-formed and executed concept in her own debut comes as an enchanting surprise. Grade A-
Martin Wisckol. The Orange County Register, California, Friday, Jan. 31, 2003



Valutazione: * * * *

Co Streiff è una talentuosa sassofonista svizzera, che di recente ha acquistato una fama (relativamente) più ampia grazie alla pubblicazione - nel 2002 - di Twin Lines un album in duo al fianco della sua turbolenta conterranea Irène Schweizer. La storica Intakt Records di Zurigo, che già aveva prodotto quel lavora pubblica ora il suo primo disco a proprio nome (dopo diversi interessanti lavori usciti per la Unit Records in cui la Streiff era leader dei Kadash). Qattara costituisce un progetto composito e variegato, in cui la Streiff è affiancata da un manipolo di musicisti, anch'essi elvetici, ai quali è legata da una profonda e condivisa sensibilità. Una sensibilità che si basa sull'amore sconfinato per le indimenticabili pagine, sempre feconde di nuovi spunti, scritte dalle avanguardie jazzistiche nere a cavallo tra gli anni '60 e i primi '70; e quindi questo Qattara è un omaggio all'eclettismo dell'Art Ensemble of Chicago, alla terragna cosmicità di Sun Ra, all'allucinato funk del Miles elettrico, nonché alla travolgente e danzante vitalità della musica africana.

Il CD si distingue per il suo carattere collettivo, nel quale nessuna personalità si erge al di sopra dei compagni, ma in cui tutti svolgono egregiamente il proprio ruolo, in ossequio ad una ben precisa poetica, che si fonda su di una sonorità d'insieme calda e ricca, grazie anche al multistrumentalismo dei vari membri, e sulla sagace alternanza tra momenti preordinati e sezioni più aperte, riprese di temi celebri e composizioni originali.

Si parte con una sorta di suite in quattro parti incentrata sul deserto, inteso come luogo fisico ed interiore (il Qattara del titolo dell'album è una zona del deserto libico). Le percussioni creano un fondale ipnotico, sul quale si instaura il pesante, "grasso" groove del clavinet con tanto di effetto wah wah di saturniana memoria, al quale si unisce il tagliente e torrido contralto della leader. Il flusso si rompe per poi ricomporsi secondo logiche (non lontane da quelle delle Unit tayloriane degli anni '70) che tendono ad organizzare e dare forma al caos. Dopo lo spezzato e sincopato funk di "Nus Nuss", in cui ha modo di mettersi in luce la tromba di Christof Gantert, nella title track il tempo sembra sospendersi, in un clima di irreale immobilità: le sgocciolanti note del piano e i meditativi sussurri dei fiati sul profondo bordone del basso sono il perfetto correlativo oggettivo degli spazi infiniti del Sahara; lentamente la pulsazione torna a farsi sentire in "Darb-el-Mashashas", colorata dall'inconfondibile suono del balafon, sulle cui insistenti note la Streiff dispiega un canto libero e appassionato.

Non c'è tempo per riprendere fiato che il sestetto ci regala un'altra perla: il dolente ed evocativo tema di "Message from Thule", ricco di echi di un immaginifico folklore nordico, incornicia lo straniante assolo di Tommy Meier, la cui cornamusa modificata, reminiscente degli strumenti a fiato arabi, ci porta molto più a sud (anche se egli dichiara nelle note di copertina di essersi ispirato alle melodie vocali degli sciamani siberiani).

L'album prosegue con una serie di espliciti omaggi: ad Andrew Cyrille, con la contagiosa melodia di "Second Celebration", resa più ruspante dalla fisarmonica dell'eclettico Ben Jeger, e ai due dioscuri dell'AeoC, Mitchell e Jarman, con "Nonaah" e "Blues for Zen", quest'ultima introdotta dall'abrasivo soliloquio al basso di Christian Weber. Concludono il programma lo scuro e ficcante "Siwa", il funkeggiante "NowNow!", dominati entrambi dall'organo Farfisa, e l'atmosferico, spaziale "Gebrselassie", dall'incedere lento e pesante, in cui fa capolino il tema di "Mu", del "Dio Sole" di Birmingham, Alabama, quasi a voler chiudere il cerchio della ricerca intrapresa con l'iniziale ÒRaÓ.

Il passato al quale Co Streiff e i suoi si ispirano, ricalcandone le atmosfere e riattualizzandone l'impeto libertario, non appare mai un modello costrittivo e soffocante; sarà per il fatto che esso è stato finora raramente battuto (in particolare da musicisti europei, forse bloccati dalla sua cifra prettamente afro-americana), sarà perché aveva in sé i germi per fertili sviluppi futuri, ma gli spazi e le potenzialità che offre risultano essere un importante trampolino di lancio per avventure musicali fresche e coinvolgenti. Ancor più, come nel caso di Qattara, quando le supportano la passione e la dedizione.
Valutazione: * * * *
Andrea Bruno allaboutjazz.com/italy, Mai 2003



Neue CD von Co Streiff : Die Wüste lebt
Wenn es um anarchisches Musizieren geht, hat Co Streiff ein feines Gespür. Spontan verbindet sie den Jazz und die Musik der Völker. Ihr Zugang zum Kosmos der Klänge ist intuitiv und lustvoll. Dass es ihr gelingt, die Klänge vom vereinnahmenden Sog der Fusionen und Crossovers fern zu halten, ist nicht die geringste ihrer Qualitäten. Der ausfransende Sound der Streiff-Formationen ist unverkennbar und solitär in der Szene. Von polierten Oberflächen hielt sie nie viel. Dafür ist ihr die Musik zu nah am gelebten Alltag mit seinen Kanten und Reibungen. Sie mag die Klänge nicht isolieren und unter der «Glasglocke Kunst» konservieren.
Gelebte Interaktion
Auf ihrer neuen CD mit ihrem Sextett (Tommy Meier, Christoph Gantert, Ben Jeger, Christian Weber, Fredi Flükiger) hat sie nochmals einen Zacken zugelegt. Sieht man von den Duos mit Irène Schweizer ab, dann ist ihr letzte Album (mit Kadash) 1998 erschienen. Auf «Qattara» nimmt sie die Arbeit ihrer früheren Formationen (Federlos, Kadash, Tobende Ordnung) auf und führt sie konsequent weiter. Die Klänge werden noch präziser auf den Punkt gebracht. Es gibt auf dieser CD Anklänge an ägyptische, an afrikanische Volkmusiken, an schamanische Gesänge aus Sibirien. Es gibt Rückgriffe auf das Art Ensemble of Chicago, auf Sun Ra. Und selbstverständlich gibt es die europäischen Wurzeln, jazzige und volksmusikalische. Dass die Synthese aufgeht, liegt an der gelebten Interaktion. Co Streiff und ihre Musiker addieren nicht einfach disparate Versatzstücke. Zu allen Anleihen haben sie einen persönlichen Bezug. Und im Augenblick des Spielens finden sie zueinander. Das macht das Hören zum Erlebnis. Co Streiff Sextett: Qattara (Intakt).
Meinrad Buholzer. © Neue Luzerner Zeitung / Zuger Zeitung, 9. Dezember 2002



Neue CD des Co Streiff Sextet
Wahre Weltmusik
Wäre der Begriff «Weltmusik» nicht so unglaublich abgegriffen, man würde ihr dieses Etikett allzu gerne anheften. Die Zürcher Saxophonistin und Bandleaderin Co Streiff sucht ihre Inspirationen tatsächlich in der ganzen Welt. Die Musik ihres Sextetts, welches gewissermassen das Erbe der Kultgruppe Kadash antritt, steckt voller Überraschungen. So folgt auf freie Improvisationen eine herzerwärmende afrikanische Weise, zwischen Stücken von Jazzpersönlichkeiten wie Sun Ra, Roscoe Mitchell oder Joseph Jarman entfalten sich orientalische Klangwelten und Schamanengesänge.
Ihre Offenheit und musikalische Vielseitigkeit hat Co Streiff bestimmt nicht zuletzt ihrer Karriere als Mitglied beim Circus-Theater Federlos zu verdanken. Auch in ihrem Sextett scheint das leicht Plakative, leicht Überhöhte, das guter Zirkusmusik eigen ist, gelegentlich durchzuschimmern. Charakteristisch für die Arbeit von Co Streiff ist auch der Workshop-Charakter, das scheinbar Unfertige in dieser Musik, das dem frischen Spiel des Ensembles zusätzliche Spannung verleiht.
Die Musik der mit viel Phantasie gesegneten Saxophonistin und ihrer hervorragenden Kollegen ist eigentlich typische Live-Musik, die man im Konzert quasi «am eigenen Körper» erleben sollte. Dennoch ist die erste CD der Gruppe (aufgenommen im Radiostudio Zürich) gelungen. Sie transportiert die Lebendigkeit, die Spontaneität, den Humor und die Emotionalität der Klänge in die warme Stube. Für die Ordnung im Chaos hat der erfahrene amerikanische Hornist Tom Varner gesorgt (der hier nicht mitspielt). Als Instrumentalistin überzeugt nicht nur die Leaderin, sondern auch der vielseitige Saxophonist Tommy Meier, der eigenwillige Trompeter Christoph Gantert, der Multiinstrumentalist Ben Jeger an Klavier, Orgel und Akkordeon, der glänzende Kontrabassist Christian Weber und der vitale Drummer Fredi Flückiger.
Nick Liebmann, © Neue Zürcher Zeitung; 28. Dezember 2002

 

Dem 'Billigen Bauern' Gantert begegnet man gleich noch einmal im CO STREIFF SEXTET. Dazu kommen Tommy Meier (Tenor Saxophon, Bassklarinette), Ben Jeger (Piano, Clavinet, Farfisa, Akkordeon), Christian Weber (Kontrabass) und der Drummer Fredi Flükiger, die auf Qattara (Intakt 078) zusammen mit ihrer überwiegend Feder führenden Leaderin durch die ägyptische Wüste streifen und dabei auf Relikte von Meerestieren und Spuren von Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman und Sun Ra stossen, wobei sich ihnen auf zwei Etappen noch Tom Varner mit seinem Horn anschloss. Streiff hat sich mit ihrem Alto- & Sopranosaxophonsound einen Namen gemacht mit dem Circus Theater Federlos, Kadash, dem Vienna Art Orchestra und im Duo mit Irène Schweizer. Hier gibt sie zuerst einen funky-groovenden Ton an, mit 70ies-Touch durch Jegers Keyboards, bei dem das Touristische ausgeschwitzt wird, bevor mit dem Titelstück und dem balafondurchklöppelten 'Darb el-Mahashas' orientalische Klangfarben und Arabesken à la Mariano und Embryo eine Fusion von West und Ost beginnt. Dass es dabei unpuristisch zugeht, zeigt Meier etwa dadurch, dass er mit einer abgesägten Dudelsackpfeife und Doppelrohrmundstück täuschend 'echt' Arabisch quäkt. In der zweiten Hälfte verwandelt sich der Wüstentrip in einen Dialog europäischer Geräuschverliebtheit mit dem Drive der Great Black Music, wie sie prototypisch das Art Ensemble of Chicago verkörperte, wobei sich Jeger mit Farfisageorgel oder Wahwah-Effekten des Clavinets gleichzeitig vor Sun Ra verbeugt. Eklektizismus, Bricolage und Spielwitz sind dabei bewusst eingesetzte Elemente einer urbanisierten Meta-Folklore, die der Paradoxie frönt, ihre Wurzeln ständig neu zu (er)finden.
rbd, Bad Alchemy, 2003, Würzburg, Deutschland

 

Die Schweizer Alt- und Sopransaxophonistin Co Streiff ist in Österreich spätestens seit ihren Kollaborationen mit dem VAO und der Pianistin Irène Schweizer sowie durch ihre Formation Kadash bekannt, in der sie u.a. ein Projekt mit ägyptischen FolkloremusikerInnen verwirklichte. Ihre Liebe zu Nordafrika prägt auch «Qattara»: gleich zu Beginn hören wir eine fünfteilige Suite, die auf einer Reise durch die libysche Wüste entstand. Archaische und flirrende Klanggebilde werden von tanzbaren Grooves abgelöst, fragmentierte Bläsermelodien erklingen über funkigen Wah-Wah-Sounds aus Clavinet und Farfi-sa-Orgel. Auch im zweiten Teil der CD bleiben die sechs Schweizer (auf zwei Stücken durch den amerikanischen Hornisten Tom Varner zum Septett erweitert) bei den Schwerpunkten Afrika und Great Black Music und verwenden Themen von Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman und Sun Ra: spacige Märsche, eckige Ostinati und farbenreiche, teils freie Bläserexkursionen prägen hier das Klangbild, wenn auch die hypnotische Intensität der ersten CD-Hälfte nicht mehr ganz erreicht wird.
Martin Schuster, Concerto-Magazin, Österreich, Februar 2003

 

Swiss saxophonist Co Streiff leads this quartet through an organic, multidirectional program inspired by her travels to the Libyan desert, namely a depression (Qattara) that was once the bottom of a sea. Streiff and her associates cover quite a bit of musical terrain here. Yet, the band maintains a sense of identity throughout. On this release, the listener will notice traces of New Orleans brass band type stylizations to coincide with the soloists' fiercely executed, modern jazz based exchanges. The divergent track mix, features African rhythms complete with Ben Jeger's rather fluffy accordion work on the trance-like piece titled ÒSecond Celebration." The sextet embarks upon free-form escapades as well, amid the musicians' exuberant workmanship. Streiff is a melodic soloist, whether performing on alto or soprano saxophones. But, Jeger's inclusion of a clavinet and an old Farfisa organ, produces a late 60s psychedelic touch on works such as ÒSiwa" and elsewhere. Nonetheless, this is a captivating effort from beginning to end. --
Glenn Astarita, All Music Guide, USA, 2003

 

Ms. Streiff plays alto & soprano saxes and has a fine duo cd out with Irène Schweizer from recent times. Co's superb sextet includes her partner Tommy Meier on tenor sax & bass clarinet, Christoph Gantert on trumpet, Ben Jeger on assorted keyboards, Christian Weber on double bass and Fredi Flukiger on drums. Although I am unfamiliar with all of these musicians, I was completely knocked out by this immensely diverse and strangely beautiful endeavor. The title is a depression in the Libyan desert, below sea level, where petrified spiral sea animals can be found. This dry and exotica flavor runs through this entire treat. Co and Tommy wrote many of these pieces, although they includes themes by Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman and Sun Ra. Tommy's opening tune "Ra" features mysterious percussion, an infectious funky clavinet groove and some dancing saxes, yet it breaks into a free section for the horns in the middle, before another great groove gets underway. "Nus Nus" starts with some eerie, breath-like sounds from the horns play mystical harmonies and high-end piano tinkling, then an African groove is set up with a balaphon and cow-piano. This is a desert suite and it all flows together most naturally. "Message from Thule" features some haunting horn harmonies and then an enchanting double-reed solo. "Second Celebration" includes a theme from Andrew Cyrille and features an incredible soprano sax solo from Co over another enticing groove. Roscoe Mitchell's "Nonaah" pushes things out a bit further and includes an intense layered horns only section and freer, yet focused segments. Christian Weber's extraordinary solo acoustic bass intro to Jarman's "Blues for Zen" reminds me of the great, alien bowed bass sounds that Peter Kowald used to work with. "Blues for Zen" is a real beaut, filled with passion, grace and some rich evocative melodies. In some ways, this entire gem recalls some of those perfect ECM titles from the seventies, which were a great blend of American, and European modern jazz with some world music spice to make it even better. This is one of this year's best and most unexpected of treasures, which is quite marvelous since it is the debut release by Co Streiff as a leader. Looks like our good pals at Intakt have a hit on their hands! Highly recommended.
Bruce Gallanter, Downtown Music Gallery, December 2003, New York.

 

 

CO STREIFF - IRÈNE SCHWEIZER. TWIN LINES. INTAKT CD 073

Now 60, and too often neglected in discussions of improvised music and jazz piano, Schweizer is a key figure on the European scene. When the time was right she plunged energetically into the ferment of free blowing; subsequently she reconstructed her music on the ground cleared during that iconoclastic phase, and has become a mervellous soloist as well as a responsive group player. The Chicago set ranks with her best solo work. Robustly rhythmic passages or delicate statements from the instrument's interior are executed with almost mechanical precision, yet her sensitivity to dynamic nuance is remarkable. She can emulate the warmth of Abdullah Ibrahim, the angularity of Monk, the fire of Taylor and remain distinctively Schweizer. In Kerouac's phrase, she knows Time.
Her collaboration with alto saxophonist Co Streiff, also a Swiss musician although most widely known for her work with The Vienna Art Orchestra, began in 1986. Initially Schweizer played drums in the duo. On piano she still nurtures rhythms and Streiff, who shares her interest in African music, proves an entirely sympathetic partner. Streiff penned most of the material. Even when playing ballads there's toughness and bite in her playing that matches the pianist's resilience and Schweizer shows her capacity to be a willing and imaginative accompanist as well as a goading, testing partner.
The Wire, London, 3/2002


Mit ansteckender, spielerischer Souveränität treten diese beiden wunderbaren Musikerinnen in Diskussion. Schön ist, dass in keiner Sekunde des musikalischen Austausches der Eindruck aufkommt, dass darüber nachgedacht wird, was sein darf und was nicht. Schweizer und Streiff lassen alles zu: lieblich unpathetische Melodien, blusige Erdigkeit, Jazzballadeskes ebenso wie «on the edge»-Improvisationen. Dabei keine Effekthascherei, keine Vorzeigeattitüde, keine Routinehandgriffe, sondern alles nur Musik von ungeschminkter Dringlichkeit und ganz prersönlicher Note. Auf allen Linien gelungen.
Hannes Schweizer, Jazzlive, Wien, 134/2002

Lohn der Arbeit - Co Streiff und Irène Schweizer im Duo
Das Duo und die soeben herausgegebene CD-Dokumentation haben eine lange Entstehungsgeschichte. Die Saxophonistin und musikalische Weltenbummlerin Co Streiff und die für ihre Pionierrolle im Free Jazz international bekannte Pianistin Irène Schweizer haben zum ersten Mal im Herbst 1986, im Rahmen des Canaille-Festivals in der Roten Fabrik zusammen musiziert. Seither haben sich die beiden in Zürich tätigen Musikerinnen sowohl individuell als auch zusammen weiterentwickelt. Co Streiff hat intensiv an ihrem Handwerk und an ihrer stilistischen Autonomie gearbeitet, und die «Wilde Señorita» Irène Schweizer hat zu ihren musikalischen Wurzeln, dem groovenden Time-Spiel, zurückgefunden. Irène Schweizer hat zunächst in verschiedenen Formationen als Schlagzeugerin mit der Saxophonistin zusammengespielt, im Repertoire befanden sich damals Standards von Ornette Coleman, Thelonious Monk und anderen «schrägen» Jazzkomponisten, deren Musik die beiden aufmüpfigen Damen beflügelten. Heute spielt Irène Schweizer rhythmisch dermassen pointiert, dass es für Swing und Groove gar keines Schlagzeugs mehr bedarf. Im Duo mit der eigenständigen Saxophonistin ersetzt sie mühelos eine solide Rhythmusgruppe, trägt starke Basslinien und reich klingende Akkorde bei. Das attraktive Repertoire stammt zum grössten Teil von Co Streiff. Es sind neue Jazz-Standards, eingängige Stücke, oft im Dreiermetrum gehalten. Stücke auch, die ohne weiteres in das Songbook anderer Musiker Eingang finden könnten. Man spürt dem Duo auch an, dass es über sehr viel Konzerterfahrung verfügt. Die beiden verstehen sich rhythmisch, melodisch und dramaturgisch ausgezeichnet. Aus dem Spiel der Saxophonistin spricht überdies ein neues Selbstbewusstsein, das man bisher etwas vermisst hat. Mit einem wunderbar singenden Klang auf dem Altsaxophon, der sich irgendwo zwischen Ornette Coleman und Lee Konitz einordnen lässt, wagt sie auch unbegleitete Soloflüge und stürzt dabei nie ab. Eine erstaunlich reife Liedsammlung von zwei der wichtigsten Zürcher Musikerinnen.
Nick Liebmann. Neue Zürcher Zeitung. 20. Dezember 2001

 

Diese Aufnahmen wurden von vielen Fans und FreundInnen der Musikerinnnen schon seit langem erwartet, spielen doch die beiden seit dem Canaille-Festival 1986 in der Roten Fabrik regelmässig in den verschiedensten Konstellationen zusammen. Auch wenn man also die Musik der Saxophonistin und Pianistin gut zu kennen glaubt, ist diese im Juli und August 2000 im Radio Studio Zürich aufgenommene CD doch zu keinem Zeitpunkt überraschungsarm oder gar altbekannt. Das hat natürlich in erster Linie damit zutun, dass hier für einmal nicht die oft gespielten, liebgewonnenen, aber auch vielgehörten Stücke und Motivraster von Irène Schweizer als Improvisationsgrundlage dienen, sondern mit einer Ausnahme alle Kompositionen, die zudem harmonisch und rhythmisch zum Teil ziemlich herausfordernd sind, von Co Streiff stammen.
Johannes Anders, © Jazz'n'More, Nr. 6/2001

 

Von Herz zu Herz
Vor 15 Jahren begann die Partnerschaft der Saxofonistin Streiff mit der Pianistin Schweizer. Die First Lady des Free-Klaviers zeigt sich den jazzigen, seelenvollen Themen der jüngeren Kollegin geneigt. Sie outet sich als ausgezeichnete Begleiterin und gibt Streiffs Melodien eine freiere und feinere Ausdeutung, wobei ihr starker rhyhtmischer Sinn hervorzuheben ist. Auch verleitet sie die Saxofonistin zu neuen melodischen Formulierungen. Eine unprätentiöse, kluge Musik.
Jürg Solothurnmann, Radiomagazin, 8. Dez. 01

 

Co Streiff über ihren Weg bis zur Duo-CD mit Irène Schweizer

Brachial und filigran

Nach Jahren mit Arkadas, Kadash und Federlos, nach vielen Duos mit Irène Schweizer ist die Duo-CD «Twin Lines» der erste Tonträger, auf dem der Name Co Streiff zuoberst steht.


Raphael Zehnder

Von Co Streiffs «mühelos identifizierbarem Ton», von «Geschlossenheit» und «Reife des Klangs», von einer «vielfältigen und kohärenten CD» schwärmte der Musiker und Radiojournalist Beat Blaser, als er unlängst auf DRS 2 «Twin Lines», die Platte von Co Streiff und Irène Schweizer, besprach. In der Werkstatt für Improvisierte Musik (WIM), wo Co Streiff unterrichtet, probt das Duo Stücke des neuen Werks.
Live aufzutreten, habe ihnen früher eigentlich genügt, sagt Co Streiff. Nach Konzerten seien sie jedoch oft nach einer CD gefragt worden, das Zürcher Label Intakt Records habe ihnen das 1999 angeboten. Zwar begannen die Vorbereitungen dafür noch im selben Jahr, doch die Veröffentlichung zögerte sich zweieinhalb Jahre hinaus.
In die Quere kam den Musikerinnen bei den Plänen Erfreuliches, nämlich dass Co Streiff Zwillinge zur Welt brachte. Das änderte einiges: Sie konnte und wollte nicht mehr so viel unterwegs sein wie zuvor mit der Federlosband (Tourneen in Süd- und Westafrika) und Kadash (Ägypten). «Mit den Kindern wollte ich stationärer leben.»
Für die neue CD benötigte Co Streiff viel Zeit fürs Schreiben von Eigenkompositionen. «Ich habe keine Covers aufgenommen», erklärt Streiff, «Standards, die es schon hundertmal gibt, vergleiche ich immer mit dem Original und frage mich, ob eine Aufnahme wirklich nötig war.» Das Komponieren sieht sie als eine Arbeit, bei der «man sich hinsetzen und dran bleiben muss, bis etwas kommt. Das kann Stunden dauern. Ich komponiere nicht so leicht, ich bin nicht erfahren genug. Ich hatte jeweils eine, zwei Stunden Zeit, dann musste ich wieder nach Hause. So wurde jeder Prozess abgeblockt, und ich musste alles sich stückweise zusammenläppern lassen. Dadurch hat sich die Vorbereitungszeit verdoppelt.»

Vom Gruppensound zum Duo und Solo
Mitte der achtziger Jahre improvisierten Streiff-Schweizer über Themen der Jazzgrössen wie Ornette Coleman und Thelonious Monk, später interpretierten sie Stücke von Carla Bley. «Wir hatten immer schon zwei, drei Stücke von Co im Programm», präzisiert Irène Schweizer, «auf der CD sind es neuneinhalb von elf.»
Zum ersten Mal versteckt sich Co Streiff nun nicht mehr in einer Gruppe. Weshalb erscheint ihr Name erst nach zwanzig Jahren Musik gross auf einer Plattenhülle? «Weil es nie mein Ziel war, meine Sache als Solistin und ausserhalb der Bandprojekte zu machen. Die Medien haben mich ja fälschlicherweise häufig hervorgehoben: 'Co Streiff und ihre Band', schrieben sie. Ich musste mich eine Zeit lang sehr dagegen wehren, in den Vordergrund gestellt zu werden.» Eine ganze Platte lang mit ihrem Instrument Geschichten zu erzählen, das hätte sie gar nicht gekonnt, sagt sie.
Auch das hat sich geändert. Auf der CD mit Irène Schweizer sind auch Solostücke von Co Streiff zu hören. Dass grosse gelbe Buchstaben sie auf dem Cover nun namentlich nennen, findet sie jetzt richtig. «Ich habe sehr viel und sorgfältig gearbeitet für diese Platte und bin stolz darauf. Ich habe jetzt verschiedene Dinge zu erzählen. Das Duo verlangt mehr von einem. Da hört man jeden Atemzug, der zu früh aufhört. Zusammen mit Irène konnte ich diese CD einspielen.»
Die Arbeit an «Twin Lines» im Radiostudio mit dem Tonmeister Martin Pearson, der mittlerweile so etwas wie der Hausingenieur von Keith Jarrett geworden ist, war anstrengend: «Auch wenn man es nicht hört: Wir hatten es im Moment der Aufnahme schwer, denn wir sind uns an Publikum gewöhnt und Irène ans Improvisieren: einspielen, peng, weg, nächstes Stück. Die Themen der Platte sind teilweise recht vertrackt. Wir nahmen sie noch einmal, ein drittes und vielleicht ein viertes Mal auf. Das kostete Nerven.» Abmischen und Mastering, die Möglichkeiten des Studios, das Schneiden und Kopieren der Tracks haben in den letzten zehn Jahren enorm an Gewicht gewonnen: «Heute sind die Hörgewohnheiten so verändert, dass man die frühere Methode des dokumentarischen Live-Einspielens eigentlich fade findet.»

Kadash und Federlos

Bis Co Streiff vierzehn Jahre alt war, spielte sie «mit Engagement» Blockflöte, in der Kantonsschule in Aarau Querflöte, «alles immer klassisch». Nach der Matur ging sie auf Reisen und nahm später in Zürich ein Studium auf, zuerst Geografie und Soziologie, wechselte zur Kombination Soziologie, Ethnologie und Psychologie. Drei Jahre studierte und musizierte sie parallel, dann liess sie die Fakultät Fakultät bleiben: «ein Crossfade zur Musik». 1981 hatte sie nämlich als 22-Jährige das Saxofon entdeckt, nahm Stunden bei ihrem ehemaligen Schulkollegen Tommy Meier, mit dem sie seit Jahren musiziert und der heute ihr Mann ist. «Damals habe ich vor allem frei improvisiert und eine andere Annäherung an die Musik ausprobiert.» Freejazz, schwarze US-amerikanische Musik aus den sechziger Jahren hörte sie seit dem achtzehnten Lebensjahr.
Co Streiffs zweite musikalische Leidenschaft waren und sind ungerade Rhythmen, türkische, arabische, mazedonische Volksmusik. Dies pflegte sie ab 1982 in der Formation Arkadas. «Mit Arkadas wurde mir die Musik dringend, vorher schwebte sie mir nicht als Lebens- oder Berufsziel vor. Ich spielte und probte immer mehr, wollte das und jenes können. Anfänglich stand ich als blutige Anfängerin auf der Bühne und habe einzelne gestandene Musiker genervt, weil ich wirklich nichts konnte. Aber ich wollte.»
Arkadas waren zu jener Zeit einzigartig und konnten daher an Politfesten in der ganzen Schweiz auftreten. Die Gruppe veröffentlichte zwei Platten. Nach der Rückkehr eines Bandmitglieds in die Türkei ging daraus 1987 die Formation Kadash hervor: Co, Tommy Meier, Martin Schumacher, Ben Jeger, Christian Kuntner, Fredi Flükiger. Kadash prägten den Begriff «Ethnoschrott». Darunter verstanden sie im Radio und auf Reisen aufgepickte Rhythmen, Fundstücke, die sie eklektisch zu einer «imaginären Volksmusik» verbanden. Sie bezogen sich auf den französischen Saxofonisten Louis Sclavis, der 1976 in Lyon die Association de la recherche d'un folklore imaginaire gegründet hatte, eine Verbindung von avantgardistischem Jazz und Volksmusik. Bei Kadash verwies die Bezeichnung laut Streiff auf «den musikalisch oft einfacheren Charakter der Volksmusik», auf ihre im Vergleich zur Improvisation «klareren Strukturelemente».
Mittlerweile ist Kadash «mangels Organisation» eingeschlafen. Co Streiff lässt erkennen, dass sie das Ende der Gruppe bedauert. Andererseits sei es wohl gut so, weil die Kreativität nach fast zwanzig Jahren gemeinsamen Musizierens erlahmt sei. Das organisatorische Problem beschäftigt sie, die nach wie vor alle Auftritte selbst einfädelt, immer noch: «Beim Organisieren verpufft man ständig Energie ins Leere hinaus, und wenig kommt zurück. Du geduldest dich Stunden und Tage und Wochen.»
Mit Kadash personell fast identisch war die Federlosband, das Orchester des Zirkus Federlos. Lediglich Martin Schumacher gehörte nicht zur Zirkuskapelle. Das Nebeneinander der beiden Formationen sei sehr befruchtend gewesen. Die Federlosband habe «Kompositionen auf Bilder hin» geschrieben, die sie indes nie ganz ausspielen konnte, «denn es war Zirkusmusik, Theatermusik mit kurzen Sequenzen, Funktionsmusik». Die Gruppe entwickelte Elemente daraus zu längeren Stücken.
In Co Streiffs Gruppen der vergangenen zwanzig Jahre fällt die geringe Zahl der personellen Wechsel auf. Neben dem Duo mit Irène Schweizer wirkt sie zurzeit in zwei Quartetten mit: Mit Tommy Meier, Dieter Ulrich und Christian Weberspielt sie Stücke von Ornette Coleman; mit Weber, Meier und Fredi Flükiger «Afrikanischeres». Ihr Sextett, mit dem sie für nächstes Jahr eine Platte vorsieht, überschneidet sich ebenfalls stark mit Kadash: Neben Meier, Jeger, Weber und Flükiger spielt hier Christoph Gantert mit. «Ich arbeite immer ungefähr mit den gleichen Leuten. Vielleicht, weil ich etwas zu schüchtern bin oder weil ich den Aufwand scheue, mit neuen Leuten zu arbeiten. Das ist meine Schwäche. Ich habe zu wenig Mut, ins Ausland zu gehen und zu sagen: 'Hey, ich habe dich gehört und will dich auf meiner Platte.'»

Gewachsene Ansprüche
Die Musik sei heute vielleicht «weniger physisch» als vor zwanzig Jahren. Sie könne, so Streiff, dies jedoch nicht objektiv beurteilen. Mit 42 arbeite man eben anders als mit 22, allein schon von der Körperspannung her. «Damals konnte ich fast nichts, aber ich hatte eine gute Energie, so dass ich trotzdem glaubwürdig war. Heute stelle ich grössere Ansprüche an mich.»
Die jüngeren KollegInnen seien heute vielfach besser ausgebildet, sie stünden weniger unter Stress. Vielleicht seien sie aber auch bräver: «Dadurch, dass es mehr Jazzschulen gibt, hört man in vielen Proberäumen viel mehr Standards als früher - sogar hier in der WIM, wo man vor zwanzig Jahren wie wild frei improvisierte. Die Musik wurde traditioneller und zum Teil elektronischer, weniger brachial, sondern filigraner.» Beim Musizieren habe die technische Fertigkeit der Körperarbeit ein Stück weit den Rang abgelaufen. Co Streiff sagt es ohne Bedauern, sie stellt einfach fest. Co Streiff - Irène Schweizer: «Twin Lines», 2001, Intakt Records / RecRec
Raphael Zehnder, WoZ, 29. 11. 2001. Zürich

 

 

La rencontre ne date pas d'aujourd'hui, les deux musiciennes improvisant ensemble depuis un certain festival Canaille de 1986 (Irène jouait alors de la batterie). D'un répertoire célébrant Ornette, Dudu Pukwana, Carla Bley, Monk et après quelques collaborations avec Joëlle Léandre, Maggie Nicols et Lindsay Cooper, le duo s'est recentreé aujourd'hui sur les compositions de la saxophoniste. Ici, une musique des justes dosages et de la douceur du trait, rigoureuse dans son écriture, franche dans son accomplissement, diverse dans ses énergies (blues et gospel dans They're Comong Down et sa subtile réverénce au Ayler des débuts; ballade jazz dans Good Bye, Matthew, lyrisme recueilli dans Five Dark Days aux forts accents tyneriens, ludique poursuite dans Fragment For an Old Friend et Forward to Start Again). Soit une musique non démonstrative, dépouillée, profonde et souvent bouleversante. L'occasion rêvée de découvrir le jeu aéré, puissant, sensible de Co Streiff. Messieurs les organisateurs, encore un tout petit effort…
Luc Bouquet, Improjazz, Magazine d'information musicale, France, Mars 2002



Zwei der profiliertesten europäischen Jazzmusikerinnen ziehen eine vorläufige Bilanz ihrer Zusammenarbeit: ein anregender Dialog zwischen der Grande Dame des improvisierten Klavierspiels, Irène Schweizer, und der um eine Generation jüngeren Altsaxofonistin Co Streiff. Die beiden Schweizerinnen unternehmen einen Streifzug durch elf Kompositionen, welche fast ausschliesslich von Co Streiff stammen. Die Ausdruckspalette reicht von kantig-pointiert über ironisch bis melancholisch. Streiff outete sich einmal mehr als Liebhaberin des Rauen, Ungeschliffenen. Mit bisweilen «dreckiger» Tongebung und einem Hang zu grossen Intervallsprüngen kontrastiert ihr Spiel auf interessante Weise mit Schweizers meist sehr rhythmischen Beiträgen, in denen die Jazzpiano-Geschicht der letzten 60 Jahrendurchblitz. Eine CD, auf der es nicht um spektakuläre Technik, sondern um Feeling geht.
schu, Concerto, Wien, 1/2002

 

 

One of the most significant piano/sax duets
Swiss pianist Irène Schweizer sets her free flowing improvisational tendencies aside for this relatively mainstream set featuring a series of duets with her compatriot, alto saxophonist Co Streiff. These grand madams of modern jazz take the listener on a direct path to joy and wonderment throughout this gorgeously stunning set of predominately Streiff original compositions. In fact, this is one of the most significant piano/sax duets this writer has heard in quite a few years. The twosome excels when combining lushly enacted melodies with rhythmically induced passages and tuneful improvisational sequences. Ms. StreiffÕs whispery lines attain a happy medium with SchweizerÕs macrobiotic way of reworking simple melodies into grand opuses. Many of these pieces boast addicting hooks and bluesy dreamscapes. Hence, you can easily visualize the smiles on the artistsÕ faces in the studio, as the listener might be beckoned to drift way into an inexplicable state of bliss. On the piece titled ÒSo oder so,Ó the duo commences at a torrid pace, while eventually descending into a succession of sonorous unison choruses. The musicians display uncanny intuitiveness as they weave in and out of a hodgepodge of alluring sub themes, for an outing that should withstand the sands of time. Vigorously recommended. I
Glenn Astarita, All About Jazz, June 2002, http://www.allaboutjazz.com/reviews/r0602_049.htm

 

A fine, if ultimately frustrating, meeting of two generations of Swiss improvisers, this CD shows that the generation gap is less pronounced among musicians than most people, but still potent. Performing as a duo for the past half-decade or so, pianist Irène Schweizer and alto saxophonist Co Streiff followed two different paths to get to this point. Streiff, born in 1959, has had experiences in improv, jazz, ethnic, women's and rock music. Besides teaching and leading her own sextet, she has played with the likes of percussionist Steve Noble, bassist Joëlle Léandre, the band Kadash and some of guitarist Fred Frith's graphic scores. Eighteen years older, Schweizer is the grande dame of EuroImprov, having since the 1960s held her own against numerous improv masters from saxophonists John Tchicai and Evan Parker to numerous drummer from Han Bennink to her countryman Pierre Favre. An accomplished solo pianist, Schweizer, who has also served as a role model for aspiring musicians, is part of the band Les Diaboliques with Léandre and singer Maggie Nichols. These two, who first played together in 1986 -- with Schweizer on drums (!) -- exhibit more congruence now since Streiff is more assured and freer in her conception, while the pianist has relaxed from playing out-and-out energy music to what could be called avant-mainstream. There are times here, in fact, that such multi-faceted, straightahead masters as Hank Jones are brought to mind in her solos. Despite the fact that all the compositions but two are Streiff's, the relationship between pianist Lennie Tristano and saxophonist Lee Konitz is also suggested, especially because Schweizer appears to be the senior partner in this outing. The altoist doesn't play like the highly cerebral Konitz, though. Her harder tone, tendency to slip into the tenor range and outright linearity hint at bopper Phil Woods during one of his many meetings with European pianists or maybe suggest Paul Desmond's cooler buoyant tone. That's what makes this session -- and its title -- disconcerting. Although there's plenty of counterpoint here and certainly twin lines of improvisation, those lines don't seem to intersect most of the time. With tunes ranging from ballads, blues and swingers to ones that appear to reference either South African or Klezmer sounds, the altoist's strategy is essentially the same. Despite the odd key pop or higher freak note, she seems most comfortable playing in mid-range, pushing the melody forward in a straight line. Meantime the pianist snakes around her, intersecting more by chance than design. Over the course of these 11 shortish tunes, you hear echoes of boogie-woogie, African Township jive, Cagean piano innards intrusions, bop runs, quick tempo changes and a soupçon of ornamentation. The one time the two really sees to break free together is ironically "So oder so", the longest track on the CD, and the only one written by Schweizer. As an example of how well two generations of improvisers can play, or as an introduction to Streiff's feats, the CD is valuable. But with one soloist concentrating on the horizon while the other romps over the rest of the terrain it's less than a definite statement. Perhaps next time out, they should consider letting loose on fewer, longer compositions or adding other instrumentalists -- as they have done in concert. Talent should win out in the end. --
Ken Waxman, www.jazzweekly.com/reviews/cstreiff_twin.htm

 

Zwei Frauen machen eine gute Jazzplatte, die eine am Tenor, die andere, Pianistin und Schlagzeugerin, durch das Klavier kommunizierend. Meinrad Buholzer schreibt liner notes, die so erzwungen auf die musikalische Qualität hinweisen, dass man merkt, Frauen im Jazz, das ist immer noch etwas, auf das es aufmerksam zu machen gilt. Wie peinlich. Stop. Hört die Kompositionen Co Streiffs, der Schweizer Saxophonistin, das Zwiegespräch zwischen ihr und Irène Schweizer, der Duo-erfahrenen (u.a. mit Günther Sommer und Andrew Cyrille) Altjazzerin. Monk und Ornette Coleman sind offensichtlich Einflussträger der ideenreichen, im Auftrag der Helvetia entstandenen Stücke. Trotz freier Momente steht die Komposition im Vordergrund, Dynamik und eine authentische Auffassung von Rhythmik beleben das Szenario. Trotz ihres nun 15-jährigen Zusammenspiels ist dies die erste Dokumentation ihres Werks. Eine Aufnahme, die die Gelassenheit und Vertrautheit zwischen Streiff und Schweizer widerspiegelt ohne im Geringsten in Unaufmerksamkeit abzugleiten.
DENISE RIEDLINGER, skug, Wien, 50/02. www.skug.at

 

Schon seit 1986 kennen sich Irène Schweizer, europäische Exponentin des freien Klaviers, und die Saxophonistin Co Streiff, eine Generation jünger und ursprünglich eher der klassischen Moderne des Jazz und des Altsaxophons verbunden. Auch arbeiten sie seit vielen Jahren zusammen, sind musikalisch aufeinander zu gegangen, Schweizer hat sich von der freien Improvisation wieder komponierter Musik zugewandt und hat auf der anderen Seite ihre Partnerin mehr und mehr in die freieren Gebiete geführt. Auch ihr ursprüngliches Repertoire hat sich von Titeln der Klassiker des amerikanischen Jazz hin entwickelt zu eigenen Arbeiten, aus denen dann in den Jahren 1999 und 2000 die Produktion «Twin Lines» entstanden ist. Duos haben oft den grossen Vorteil, dass sich Partner auf sehr direkte Weise inspirieren, eine Tatsache, die man bei den beiden Schweizerinnen sehr unmittelbar spürt. Wie Zwillinge entwickeln sie ihre Songlines, wobei die meisten Titel aus der Feder von Co Streiff stammen, präsentiert voller Witz und manchmal Augenzwinkern wie bei dem Titel «Her Womb Had a Window». Schweizer gibt den ekstatischen Ausflügen des Saxophons einen ungewohnt rhythmischen und harmonischen Halt, leistet sich aber auch immer wieder kleine Spaziergänge in ihre vertraute Umgebung. Schon ihre Einführung mit «Bea be Good» lässt den Schweizer-Fan einigermassen überrascht zurück. Sie selbst hält die freie Vergangenheit, die natürlich immer noch anhält, für eine überaus wichtige Phase in ihrem musikalischen Leben, mit der sie «reinen Tisch» gemacht hat, um nun im Prinzip alles auf eine neue Art voller Reife spielen zu können, eine Erkenntnis, die viele ihrer Kollegen gleichermassen äussern und die besondere Qualitäten heutiger Musik ausmacht.
Hans-Jürgen von Osterhausen, Jazz Podium 9/2002

Wer die 62jährige Schweizer Pianistin IRÈNE SCHWEIZER v. a. als kompromisslose Free-Jazz-Akteurin z. B. im Duo mit Tenorsaxofonist Rüdiger Carl oder gar als subtile Drummerin bsp.weise an der Seite des zu früh verstorbenen Pianisten Urs Voerkel (siehe BA35) kennt, wird über ihr sich fast durchweg im tonalen, ja funktionsharmonischen Raum bewegendes Spiel im Duo mit der technisch brillanten Saxofonistin CO STREIFF auf Twin Lines (Intakt CD 073) nicht wenig wundern. Von Enttäuschung ob dieser "Rückkehr" zur Tonalität kann jedoch (wenigstens bei mir) nicht die Rede sein, so frisch und unkitschig weiss Schweizer die meist warm, ja bluesig temperierten Kompositionen Streiffs zu interpretieren. Schweizer lässt, quasi als bereits gesettelte elder stateswoman, der talentierten ehrgeizigen Newcomerin Streiff breiten, für meinen Geschmack etwas zu breiten Entfaltungsraum. Etwas mehr Schweizer und etwas weniger Streiff hätte vielleicht gutgetan, zumal Streiffs Kompositionen nicht durchgängig der wahre Bringer sind, sondern auch mal ein wenig am unteren Rand meiner Akzeptanzschwelle vor sich hingrooveln.
Stefan Hetzel, Bad Alchemy, 2003, Würzburg, Deutschland

 

Il deserto, oltre a far gola a chi ne vuole il massimo sfruttamento delle risorse petrolifere, piuttosto che a chi vuole ambientare le proprie strategie militari, può diventare anche metafora di uno sviluppo musicale che è frutto di corrosioni e di stratificazioni di materiali. E questo Quattara del giovane sestetto di Co Streiff (sassofonista svizzera già collaboratrice della Vienna Art Orchestra e di Irène Schweizer) sa raccogliere a piene mani spunti dalle diverse tradizioni avant-jazz degli ultimi trent'anni: le festose fanfare dell'Art Ensemble of Chicago, certo africanismo più naïf, l'esuberanza della miscela etnica di gruppi come i Brotherhood of Breath e l'eclettismo galattico di marca Sun Ra. Una vera commistione di stili che però convivono all'interno dell'ensemble in maniera non forzata. Una grande sezione ritmica si fa notare per il suo modo di non voler apparire protagonista a tutti i costi, così come spiccano i tre fiati (la Streiff al soprano e alto, Tommy Meier al tenore, clarinetto basso, Christoph Gantert alla tromba), che si dividono la scena senza inutili protagonismi. Qattara si snoda senza linee di discontinuità tra momenti strutturati, in cui ben risaltano le doti di compattezza del gruppo, ed episodi di esplorazione improvisativa: dall'iniziale omaggio al dio Saturno, Ra, allo "standard" di Roscoe Mitchell, Nonaah, un percorso ricco di spunti per un CD che raramente si dilunga in eccessivi sfoggi di padronanza strumentale. Ottima pure la rilettura di Blues for Zen di Joseph Barman, che ci evoca quella mai sopita forza della natura espressa dal jazz-black-power anni '60. Quei tempi sono definitivamente cambiati, ma noi stiamo aspettando sempre quella ventata di aria bollente e ad ogni prodromo riusciamo ad inebriarci.
Michele Coralli, 2003 © altremusiche.it /

 

 

...Ultimo squarcio di provocatoria ironia e gustosissime composizioni è il disco a nome della sassofonista elvetica Co Streiff, già componente della Vienna Art Orchestra e compagna di viaggio della pianista Irène Schweizer. A capo di un divertente sestetto, la Streiff innalza di molto la temperatura di un sound ricco di funky (Ra) e belle compatibilità orchestrali (Siwa). Tra momenti ondivaghi di notturna meditazione (Quattara), sprizzi di minimali orientalismi (Derb el-Mahashas), squisita cantabilità mitteleuropea dall'andamento narrativo (Message From Thule), l'ensemble offre una stimolante miscellanea di sorprese e illuminazioni e danzabili movimenti dal sapore etnico come esposto in Second Celebration, coinvolgente reprise di un vecchio tema firmato da Andrew Cyrille.
Gianmichele Taormina, Jazzit, Italia

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